Dì, la verità, a nessuno fa piacere che i propri organi riproduttivi diventino una discarica microscopica di rifiuti plastici, giusto?
Eppure in un’epoca in cui l’inquinamento plastico raggiunge ogni angolo del pianeta, una nuova frontiera di contaminazione è stata recentemente identificata: l’apparato riproduttivo maschile (eh già, proprio lì dove stai pensando).
Mentre numerosi studi hanno documentato la presenza di microplastiche (MPs) in vari ecosistemi e prodotti di consumo quotidiano, la loro infiltrazione nei tessuti genitali maschili rappresenta un territorio inesplorato della ricerca scientifica con potenziali implicazioni significative per la salute riproduttiva e sessuale.
Il problema delle microplastiche: un’invasione silenziosa
Le microplastiche, frammenti di dimensioni inferiori a 5 mm, hanno colonizzato silenziosamente il nostro ambiente e, purtroppo, anche il nostro corpo.
Dalla stratosfera alle profondità oceaniche, questi minuscoli intrusi sintetici sono ormai onnipresenti e la loro capacità di penetrare nei prodotti alimentari come frutti di mare, sale marino e bevande in bottiglia ha trasformato la nostra dieta quotidiana in una somministrazione continua di plastica.
Ciò che rende particolarmente preoccupanti questi contaminanti è la loro peculiare caratteristica fisico-chimica: le dimensioni ridotte e l’elevata area superficiale li rendono particolarmente suscettibili a interazioni chimiche con fluidi e tessuti fisiologici, sollevando serie preoccupazioni riguardo al bioaccumulo e alla potenziale tossicità.
Uno studio pionieristico
Fino ad oggi, mancavano evidenze dirette sulla presenza di microplastiche nei tessuti dell’organo riproduttivo maschile, ma un recente studio pubblicato sulla rivista scientifica Your Sexual Medical Journal (facente parte del circuito di Nature).
Per condurre questa indagine sono stati raccolti campioni di tessuto da 6 individui sottoposti a intervento chirurgico per l’impianto di protesi peniena gonfiabile e i risultati sono stati preoccupanti.
Risultati sorprendenti (e ospiti indesiderati)
I risultati dello studio sono tanto chiari quanto preoccupanti: microplastiche sono state identificate in 8 campioni su 10, isolando campioni con dimensioni variabili da 20 a 500 µm (il microscopio elettronico ha permesso di rilevare particelle ancora più piccole, fino a 2 µm).
In totale sono stati identificati sette tipi diversi di microplastiche nei tessuti esaminati, ma il polietilene tereftalato (PET) risulta essere il più diffuso, rappresentando il 47,8% delle particelle rilevate, seguito dal polipropilene con il 34,7%.
Questi dati risultano particolarmente significativi considerando che il PET è comunemente utilizzato nella produzione di bottiglie per bevande e contenitori alimentari, mentre il polipropilene è presente in un’ampia gamma di prodotti di uso quotidiano.
Implicazioni per la salute riproduttiva
La presenza di microplastiche nei tessuti dell’organo riproduttivo maschile solleva interrogativi inquietanti sulle possibili ramificazioni degli inquinanti ambientali sulla salute sessuale.
Sebbene questo studio non abbia indagato direttamente gli effetti fisiologici di tale contaminazione, la letteratura scientifica esistente suggerisce che le microplastiche possano interferire con i processi ormonali e causare stress ossidativo nei tessuti, senza contare che sono state trovate anche nello sperma, con possibili complicazioni in tema di fertilità e, forse peggio ancora, salute degli embrioni.
Insomma, la prossima volta che berrai da una bottiglia di plastica sappi che stai anche facendo il pieno di microplastiche, che finiranno, tra l’altro, proprio lì, e poi nello sperma e, come se questo non bastasse, anche nel cervello (per approfondire: Bere dalla bottiglia in plastica causa demenza?).
Conclusioni e prospettive future
Questa ricerca, per la verità l’ennesima sul tema, aggiunge un’ulteriore dimensione chiave alla discussione sugli inquinanti di origine antropica, focalizzandosi specificamente sulle microplastiche nel sistema riproduttivo maschile. I risultati ottenuti non solo espandono la nostra comprensione della pervasività della contaminazione da microplastiche, ma aprono anche nuove strade di ricerca sull’interazione tra inquinanti ambientali e salute riproduttiva.
Ma la domanda che sorge spontanea è un’altra: se le microplastiche hanno raggiunto questi tessuti intimi, quali altri organi potrebbero essere interessati? E quali potrebbero essere le conseguenze a lungo termine di questa contaminazione?
La verità è che non lo sappiamo… non ancora, ma già solo il dubbio è piuttosto inquietante, non trovi?
Mentre la comunità scientifica cerca risposte a queste domande, una cosa è certa: la nostra società plastico-dipendente sta lasciando un’impronta in luoghi che nessuno avrebbe mai immaginato, dimostrando ancora una volta che ciò che immettiamo nell’ambiente può tornare a noi nei modi più inaspettati e intimi.
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