Negli ultimi anni l’attenzione verso le microplastiche presenti nell’ambiente e negli alimenti è cresciuta enormemente, soprattutto per la potenziale minaccia alla salute umana.
Alla luce del fatto che una delle fonti più comuni sono le bottiglie in plastica, è naturale che una delle domande più frequenti riguardi l’uso quotidiano delle stesse. In altre parole, bere abitualmente acqua imbottigliata potrebbe davvero aumentare il rischio di sviluppare malattie neurodegenerative, come la demenza?
Due recenti studi scientifici, pubblicati rispettivamente su Nature Medicine e sulla rivista Environmental Disease, hanno portato alla luce evidenze importanti sul ruolo delle microplastiche, aprendo scenari ancora in gran parte inesplorati ma decisamente preoccupanti.
Microplastiche nel cervello umano

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Il primo studio di cui vorrei parlarti, pubblicato su Nature Medicine, ha scoperto una significativa e inquietante presenza di microplastiche e nanoplastiche nei cervelli umani (l’analisi è stata condotta post-mortem, su pazienti deceduti per altre cause).
A spaventare maggiormente è il fatto che queste particelle, prevalentemente di polietilene, sono state trovate in concentrazioni molto più alte nei cervelli di persone decedute con diagnosi di demenza, rispetto a soggetti senza tale condizione.
È importante chiarire che correlazione non significa causazione, ovvero che questa evidenza non implica necessariamente che le microplastiche causino la demenza; potrebbe trattarsi infatti di una conseguenza, piuttosto che di una causa diretta: le alterazioni cerebrali legate alla demenza (come la compromissione della barriera emato-encefalica e la minore capacità di eliminare detriti cellulari) potrebbero facilitare l’accumulo di queste particelle nel cervello.
Si tratta di dubbi che verranno chiariti con prossime ricerche, ma questo studio evidenzia anche un preoccupante incremento della concentrazione di microplastiche nei tessuti cerebrali nell’arco degli ultimi anni, correlato (ahimè!) con l’aumento generale della contaminazione ambientale.
Meccanismi biologici coinvolti
Il secondo articolo, una revisione narrativa pubblicata su Environmental Disease, approfondisce i possibili meccanismi attraverso cui le microplastiche potrebbero contribuire allo sviluppo o all’aggravamento di malattie neurodegenerative come la demenza.
Le microplastiche, secondo i ricercatori, potrebbero entrare nel sistema nervoso centrale attraverso diverse vie: per inalazione, attraverso l’alimentazione o addirittura attraversando direttamente la barriera emato-encefalica (vide supra).
Il problema è che, una volta penetrate, queste particelle causano infiammazione e stress ossidativo, condizioni che facilitano la degenerazione dei neuroni e aggravano patologie come Alzheimer, Parkinson e sclerosi multipla.
Più in particolare le microplastiche sembrano stimolare l’infiammazione cronica mediata dalle cellule gliali (microglia e astrociti), cellule immunitarie del cervello, peggiorando così le condizioni neurologiche preesistenti o accelerando l’insorgenza di nuove patologie.
Di nuovo non siamo di fonte alla cosiddetta pistola fumante, ma si tratta di una situazione che merita sicuramente urgenti approfondimenti.
Cosa significa questo per chi beve acqua in bottiglia?
Alla luce di queste scoperte viene naturale domandarsi se bere acqua in bottiglia possa esporci a rischi concreti. Va detto chiaramente che nessuno degli studi finora condotti permette di affermare con certezza che bere acqua da bottiglie di plastica causi direttamente demenza, tuttavia è ormai accertato che l’assunzione continua di microplastiche tramite acqua, cibo e aria è praticamente inevitabile e che queste sostanze si accumulano nei tessuti umani, cervello incluso.
È dunque non solo plausibile, ma direi probabile, che l’acqua in bottiglia, come altri prodotti confezionati in plastica, possa contribuire a un’esposizione più elevata rispetto ad alternative prive di plastica.
Anzi no, è praticamente certo: uno studio pubblicato su Environmental Science and Technology ha stimato che chi beve la maggior parte dell’acqua da bottiglie di plastica ingerisce 90.000 particelle di microplastiche in più all’anno, rispetto alle 4000 di chi consuma solo acqua del rubinetto.
Il problema centrale, però, è ancora l’incertezza scientifica: non sappiamo se le concentrazioni riscontrate nella vita quotidiana siano effettivamente pericolose per la salute a lungo termine.
Cosa fare nel frattempo?
In attesa che la scienza faccia chiarezza, il principio di precauzione suggerisce alcune azioni pratiche di buon senso:
- Limitare l’uso di plastica monouso, optando per bottiglie e contenitori riutilizzabili in materiali come vetro o acciaio inox.
- Ridurre l’esposizione indiretta alle microplastiche, ad esempio limitando il consumo di alimenti molto processati o confezionati (più ricchi di microplastiche). Scegliere con cura gli alimenti, ad esempio preferendo prodotti ittici provenienti da fonti con minori livelli di microplastiche.
- Evitare il riutilizzo eccessivo della plastica monouso.
- Non riscaldare alimenti nelle confezioni di plastica, poiché le microplastiche potrebbero trasferirsi nel cibo.
- Evitare di bere acqua in bottiglia, che è una fonte comune di microplastiche; preferire acqua del rubinetto filtrata.
- Indossare abiti realizzati con fibre naturali come cotone biologico o canapa, evitando quelli con fibre sintetiche.
- Passare l’aspirapolvere in casa più frequentemente, poiché le microplastiche possono accumularsi nella polvere domestica.
- Prestare attenzione agli ambienti molto inquinati, poiché nelle aree con alta contaminazione atmosferica potrebbero essere presenti più microplastiche.
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