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Microplastiche nel cervello: cosa sono e da dove arrivano

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Immagina di aprire la testa e trovare dentro… un sacchetto di plastica.

Assurdo, vero?

Eppure secondo una recente ricerca pubblicata su Nature Medicine il nostro cervello potrebbe accumulare quantità inquietanti di micro e nanoplastiche. E il problema sembra peggiorare di anno in anno.

Siamo circondati dalla plastica. È nelle bottiglie d’acqua, nei contenitori del cibo, nei vestiti, nei cosmetici. È così onnipresente che ormai la ingeriamo, la respiriamo, la assimiliamo senza nemmeno rendercene conto. Gli scienziati sapevano già che queste minuscole particelle finiscono nei polmoni, nel fegato e perfino nella placenta, ma la scoperta che si concentrano nel nostro cervello è qualcosa di davvero allarmante.

Cosa sono le microplastiche?

Le microplastiche sono minuscoli frammenti di plastica (più piccole di 5 millimetri e fino a livello micrometrico) che derivano dalla frammentazione di oggetti più grandi, da cosmetici e tessuti sintetici.

Le nanoplastiche, ancora più piccole, hanno dimensioni inferiori a 100 nanometri e sono talmente minute da poter attraversare anche le barriere biologiche più protettive, come quella del cervello.

Microplastiche e cervello: una scoperta inquietante

I ricercatori hanno analizzato i tessuti di persone decedute, alla ricerca di nano e microplastiche in vari organi: fegato, reni e cervello. Gli scienziati ipotizzavano che la maggior parte di queste particelle si sarebbe fermata negli organi filtranti (come fegato e reni).

Il cervello è protetto dalla famosa barriera emato-encefalica, che impedisce il passaggio di molte sostanze potenzialmente dannose… cosa mai potrà andare storto?

Ma i risultati hanno ribaltato le aspettative: il cervello conteneva più plastica di qualsiasi altro organo analizzato. E non solo: la concentrazione è aumentata nel tempo, con livelli molto più alti nelle persone morte più di recente (il confronto è stato fatto dal 2016 al 2024).

Per dare un’idea più concreta del problema, gli autori hanno calcolato che nel solo lobo frontale del cervello (una regione dedicata al pensiero e al comportamento) si possono trovare fino a 2 grammi di plastica, l’equivalente di un piccolo sacchetto della spesa.

Ovviamente si tratta di una una quantità impressionante per un organo così delicato.

Da dove arriva tutta questa plastica?

Ragazza che beve da una bottiglia di plastica

Shutterstock/Tatiana Diuvbanova

All’analisi chimica è emerso di come il tipo di plastica predominante nel cervello fosse il polietilene. È il materiale più comune nei sacchetti di plastica, nei film alimentari, nelle bottiglie e nei contenitori usa e getta… ma come fa a superare le difese del nostro corpo e finire nel cervello?

La spiegazione sta nelle dimensioni delle particelle. Se è vero che le microplastiche più grandi vengono bloccate dalla barriera emato-encefalica, quelle di dimensioni nanometriche sono talmente piccole da riuscire a passare.

Cosa vuol dire dimensioni nanometriche? Un nanometro è un’unità di misura estremamente piccola, corrispondente a un miliardesimo di metro… tanto per essere chiari, immagina di prendere un tuo capello e di dividerlo in circa 1000 parti… sarebbe un filamento di circa 100 nanometri.

Il problema però è un altro: una volta entrate nel cervello, non sembrano più volerne uscirne, tipo quando vado in libreria o quando inizio a guardare video YouTube e cado nella tana del Bianconiglio…

Ma non preoccuparti, perché c’è di peggio…

Ad esempio il fatto che i livelli di plastica siano più alti nelle persone affette da demenza… e allora il dubbio è: un cervello malato trattiene più microplastiche o sono proprio queste ultime a contribuire al danno neurologico?

Per ora non abbiamo una risposta certa, ma evidentemente il solo dubbio è già motivo di preoccupazione… perché sarà banale, ma sai come si dice no? Prevenire è meglio che curare.

Possiamo fare qualcosa per proteggerci?

Risposta breve: no.

La verità è che, vivendo nella società moderna, è quasi impossibile evitare del tutto la plastica. Ma possiamo comunque ridurre l’esposizione adottando alcune precauzioni:

  • Evita le bottiglie di plastica. Chi beve acqua solo da bottiglie di plastica ingerisce circa 90.000 microplastiche all’anno, contro le 4.000 di chi beve solo da rubinetto o contenitori riutilizzabili in vetro o acciaio. E considerando anche l’impatto ambientale io credo che sia proprio ora di cambiare abitudini.
  • Non scaldare il cibo in contenitori di plastica. Il calore facilita il rilascio di microplastiche nei cibi. Meglio trasferire il cibo in un piatto prima di metterlo nel microonde.
  • Riduci l’uso di plastica usa e getta. Sacchetti, pellicole alimentari, contenitori monouso: tutte fonti dirette di microplastiche.
  • Fai attenzione all’aria che respiri. Una buona parte delle microplastiche che ingeriamo arriva dalla polvere domestica, da tappeti sintetici e tessuti sintetici. Aerare la casa e usare filtri adeguati può ridurre l’esposizione.

Queste strategie possono davvero fare la differenza, ma per il vero salto di qualità sarebbero auspicabili interventi su scala più ampia, come regolamenti più severi sull’uso della plastica nei prodotti alimentari, nelle confezioni e persino nei vestiti.

La plastica non è più solo un problema ambientale, sta diventando un problema di salute pubblica.

Fonte originale

Questo articolo è fortemente ispirato a There’s a Sandwich Bag of Plastic In Your Brain di F. Perry Wilson, pubblicato su Methods Man Blog.

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