Introduzione
“Il sego è meglio del burro?”
Relegato ormai ai ricordi del passato (e talvolta oggetto di battute scontate…😉) il sego merita davvero un’analisi seria per capire se dovremmo riconsiderarlo come ingrediente nelle nostre preparazioni moderne, soprattutto ora che sui social se ne parla sempre più spesso.
Cos’è esattamente il sego?

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Il sego è un grasso estratto principalmente dai bovini, ottenuto dalla raffinazione del grasso che circonda il cuore e il rognone (ovvero il rene) dell’animale. Per fare un paragone più comprensibile, è simile al grasso viscerale presente nel corpo umano – quello che avvolge gli organi interni e che in quantità eccessive può contribuire a problemi di salute, ma che in quantità normali svolge una funzione protettiva.
La sua composizione non lascia spazio all’immaginazione: su 100 grammi di sego, circa il 96% è costituito da grassi puri, con quantità trascurabili di proteine e tracce di acqua. Questo lo distingue dal burro, che contiene una percentuale più significativa di acqua, oltre a tracce di colesterolo, vitamine e minerali. Per certi versi, quindi, il sego è più simile allo strutto di maiale che al burro.
La chimica dietro la solidità
Una caratteristica evidente che accomuna sego, burro e strutto è la loro consistenza solida a temperatura ambiente, a differenza degli oli vegetali come l’extravergine d’oliva. Questa proprietà deriva dalla loro composizione chimica: i grassi animali sono ricchi di acidi grassi saturi, le cui catene molecolari lineari e prive di doppi legami si “impacchettano” ordinatamente tra loro, conferendo al grasso una struttura compatta e stabile.
Al contrario degli oli vegetali, in cui abbondano gli acidi grassi insaturi che, a causa delle “pieghe” nella loro struttura molecolare dovute ai doppi legami, non riescono a organizzarsi in modo così ordinato, rimanendo quindi liquidi anche a temperatura ambiente.
Tradizione o evidenza scientifica? Cosa conta di più?
Sarebbe facile costruire narrative accattivanti sul sego.
- Se volessi convincerti in malafede della bontà nutrizionale del sego… mi aggrapperei alla narrativa della tradizione: “Lo usavano i nostri nonni, e di certo non stavano così male!”. Oppure, se tu fossi un maschietto, potrei fare leva sul tuo machismo, ricordandoti che il suo consumo non solo è naturale, ma persino ancestrale, primitivo nel senso più autentico del termine, quando lo strappavamo con i denti dalla preda appena catturata…
- Se invece volessi convincerti (sempre in malafede) della necessità di evitarlo, potrei raccontarti che lo si è usato per decenni nell’industria saponiera, che è un ottimo lubrificante e trova applicazione anche nella produzione di biocombustibili e che l’uomo primitivo lo consumava perché probabilmente faceva parte di quel poco che rimaneva dopo che predatori molto più forti di noi si erano finiti le parti migliori…
Ma entrambi gli approcci farebbero un torto alla verità scientifica.
In nutrizione, tradizione e narrativa contano poco rispetto all’unico aspetto davvero importante: il contesto biochimico e fisiologico in cui un alimento si inserisce.
Come si comporta nel corpo, quale impatto ha sulla salute metabolica, e in quali condizioni può essere benefico o dannoso?
Meglio del burro?
La letteratura scientifica sul sego non è particolarmente abbondante, ma possiamo comunque trarre alcune conclusioni significative.
Il principale problema, come per tutti i grassi animali, è l’elevata presenza di acidi grassi saturi – circa il 43% del contenuto lipidico totale. I grassi monoinsaturi sono perfino di più, è vero, ma probabilmente non basta a giustificare la presenza dei saturi.
A titolo di confronto il burro contiene circa il 65% di grassi saturi (quindi è peggio, da questo punto di vista), ma l’olio extravergine d’oliva si conferma la vera superstar… contenendone solo il 15%.
Perché dovrebbe preoccuparci il contenuto di acidi grassi saturi?
Perché il loro legame con l’aumento del colesterolo LDL è ben documentato, così come il loro ruolo nella mortalità cardiovascolare. Ridurre il consumo di acidi grassi saturi comporta una diminuzione degli eventi cardiovascolari, con un effetto dose-dipendente: meno ne consumi, maggiore è il beneficio per la salute.
Per questo motivo le linee guida nutrizionali più recenti suggeriscono di limitare l’apporto calorico derivante dai grassi saturi a non più del 10% delle calorie totali giornaliere, o addirittura al 6% secondo le indicazioni dell’American Heart Association.
In ultimo, uno studio (seppur di dimensioni ridotte) ha confrontato quattro diversi tipi di grasso (sego di manzo, burro, burro di cacao e olio d’oliva) confermando queste premesse: il sego ha causato un aumento del colesterolo LDL inferiore rispetto al burro, ma comunque superiore all’olio d’oliva, che si conferma come l’opzione più salutare.
Dovremmo tornare a cucinare con il sego?
Come correttamente osservano i medici della Mayo Clinic:
“Nel sego parte dei grassi saturi sono rappresentati dall’acido stearico, che sembra non aumentare il colesterolo allo stesso modo di altri grassi saturi. Il sego contiene anche grassi monoinsaturi e polinsaturi, che sono considerati più sani.”
E allora le catene di fast food dovrebbero tornare a friggere nel sego come facevano in passato, anziché usare oli vegetali?
La risposta è no, per esistono alternative sicuramente migliori dal punto di vista della salute.
Se la scelta è dettata dal gusto, non c’è motivo di evitare completamente il sego, purché il consumo sia occasionale e limitato, ma da un punto di vista puramente nutrizionale, non esiste alcuna ragione scientifica per preferirlo all’olio extravergine d’oliva o ad altri oli vegetali (anche perché, come dimostrato dalla ricerca, i tanto temuti grassi omega-6 contenuti negli oli vegetali non rappresentano affatto un problema).
Un ultimo punto spesso citato a favore del sego è il suo elevato punto di fumo, che lo renderebbe ideale per la frittura. Ma questo argomento perde forza se consideriamo che la frittura dovrebbe comunque essere consumata solo occasionalmente, indipendentemente dal grasso utilizzato, e che idealmente quest’ultimo non dovrebbe essere riscaldato ripetutamente.
E se vi state chiedendo cosa fare del sego acquistato prematuramente, sappiate che vanta proprietà idratanti e umettanti che lo rendono un possibile ingrediente per creme per il viso. Tuttavia, anche in questo ambito, alternative vegetali come l’olio di semi di zucca e l’acido linoleico hanno dimostrato di offrire benefici superiori…
In conclusione, il sego appartiene a un’epoca in cui le conoscenze nutrizionali erano limitate e le alternative scarse. Oggi, con la ricchezza di opzioni più salutari a nostra disposizione, il suo ritorno in cucina difficilmente può essere giustificato dalla scienza, se non come curiosità gastronomica occasionale.
L'articolo Sego di manzo: benefici nascosti (e i rischi reali) proviene da Healthy The Wom.