Introduzione
La sindrome da iperstimolazione ovarica è una condizione medica che si può presentare come complicanza degli attuali protocolli utilizzati nelle diverse tecniche di procreazione medica assistita (PMA, ad esempio in forma di FIVET o ICSI). Questa sindrome è caratterizzata da una risposta esagerata alla somministrazione dell’ormone human Chorionic Gonadotrophin (hCG), usato per stimolare la maturazione dei follicoli.
In alcune donne particolarmente predisposte, la somministrazione di hCG può provocare una risposta eccessiva, che si manifesta con un marcato aumento del volume delle ovaie associato all’aumento della permeabilità vascolare responsabile del passaggio dei liquidi fisiologicamente contenuti all’interno dei vasi verso lo spazio extra-vascolare (al di fuori dei vasi).
Solitamente la condizione medica è transitoria e autolimitantesi, caratterizzata clinicamente solo da sintomi lievi, come il dolore addominale e l’aumento volumetrico dell’addome (pancia gonfia), ma in una minoranza di casi si può presentare con manifestazioni più gravi che possono seriamente compromettere la vita della paziente.
È dunque importante riconoscere quali siano le donne che a maggior rischio di sviluppare tale condizione al fine di mettere in atto le necessarie procedure profilattiche, come per esempio ridurre il dosaggio di hCG somministrato e ridurre di conseguenza il rischio di insorgenza della sindrome.
È frequente?
Fortunatamente questa condizione medica si presenta raramente; il 3-6% delle donne che si sottopone alla procedura manifesta la sindrome da iperstimolazione con sintomi lievi, mentre solo una percentuale molto più bassa (0,3-1%) sviluppa sintomi più gravi.
Classificazione
La sindrome da iperstimolazione ivarica si può presentare in due diverse modalità, in relazione alla comparsa precoce o tardiva dei sintomi dopo la somministrazione di hCG.
- Forma precoce: si manifesta entro pochi giorni dalla somministrazione di hCG, è caratterizzata in genere da sintomi lievi e di breve durata ed è maggiormente caratterizzata da una risposta ovarica esagerata all’hCG esogeno (somministrato dall’esterno);
- Forma tardiva: si manifesta dopo almeno 10 giorni dalla somministrazione di hCG, può essere caratterizzata da sintomi più gravi e di lunga durata ed è maggiormente caratterizzata da una risposta ovarica esagerata all’hCG endogeno, prodotto dalla placenta, una volta ottenuto l’impianto.
Cause
La sindrome da iperstimolazione ovarica è caratterizzata da un ingrandimento del volume dell’ovaio a causa di un’aumentata permeabilità dei vasi e dell’aumentata neoangiogenesi ovarica (formazione di nuovi vasi a livello dell’ovaio) come risposta esagerata alla somministrazione endovenosa di hCG. È possibile che oltre a questo ormone la risposta anomala possa essere guidata da altri ormoni che aumentano secondariamente alla somministrazione di hCG, come estrogeni, progesterone, istamina e da alcuni fattori che notoriamente aumentano la permeabilità vascolare (VEGF, TNF-α, interleuchine).
Sebbene sia ben conosciuto il meccanismo di fondo che determina la comparsa del quadro clinico, non è tuttora ben chiaro la ragione per cui si osservi una risposta esagerata solo in alcune donne, che in qualche modo ne sembrano maggiormente predisposte.
Fattori di rischio
Sono stati individuati diversi fattori che favoriscono lo sviluppo della patologia e tra i più importanti sono annoverati:
- Fattori anamnestici personali:
- Giovane età (inferiore a 35 anni)
- Sindrome dell’ovaio policistico (PCOS)
- Pregresso episodio di sindrome da iperstimolazione ovarica
- Fattori ormonali e follicolari:
- Elevati livelli plasmatici di estradiolo prima della procedura
- Marcato rialzo dei livelli di estradiolo dopo la procedura
- Elevato numero di follicoli
- Follicoli di dimensioni elevati
- Numero di oociti disponibili
Nessuno di questi fattori da solo può essere considerato come unica causa per lo sviluppo di tale condizione, piuttosto la presenza di multipli fattori aumenta il rischio che questa possa manifestarsi.
Sintomi e complicazioni
Il quadro clinico è molto variabile e può spaziare da sintomi blandi e temporanei che si autorisolvono, a manifestazioni molto gravi con conseguenze potenzialmente fatali; fortunatamente i sintomi lievi sono quelli più frequenti e solo molto raramente il quadro clinico è caratterizzato da sintomi gravi.
Il sintomo più comune in assoluto è il senso di distensione addominale (gonfiore) accompagnato da lieve dolore addominale, nausea, vomito e diarrea. Questi sono legati all’aumento volumetrico delle ovaie, che possono raggiungere anche i 25 cm (indicativamente nella donna adulta misurano circa 4 centimetri di lunghezza) e all’accumulo di liquido intra-addominale.
Solo raramente il dolore può essere così marcato da configurarsi con un quadro di addome acuto e caratterizzato da dolore intenso diffuso o ben localizzato, tale da richiedere l’accesso in Pronto Soccorso; in questi casi la causa è la torsione ovarica, la rottura di una cisti, l’emorragia intraperitoneale o la peritonite (infiammazione della membrana che riveste internamente la cavità addominale).
Un altro sintomo molto frequente è l’ascite (accumulo di liquido all’interno dell’addome) più o meno marcata a seconda della quantità di liquido che si accumula nella cavità addominale. La causa dell’ascite è l’aumentata permeabilità vascolare ovarica o la rottura dei follicoli ovarici (più raramente). Talvolta l’aumentata permeabilità vascolare può essere così intensa da determinare il passaggio di liquidi anche a livello toracico (versamento pleurico), a livello cardiaco (versamento pericardico), a livello delle gambe (edema degli arti inferiori con notevole rigonfiamento delle gambe); in questi casi più gravi è possibile osservare anche una spiccata riduzione della volemia (quantità di liquidi all’interno dei vasi), che può essere causa di ipotensione (pressione bassa), fino all’shock ipovolemico, con alterazioni elettrolitiche importanti (variazioni del sodio, del potassio, o del magnesio). Tra le altre possibili conseguenze dell’ipovolemia va annoverata anche la riduzione della perfusione renale e quindi una riduzione della funzione renale (insufficienza renale di tipo ipovolemico) con gradi molto variabili, da quadri lievi, fino a quadri gravi che necessitano del trattamento emodialitico. Questa condizione può essere clinicamente manifesta con la contrazione della diuresi (oliguria o anuria, ovvero riduzione della produzione di urina fino ad una completa sospensione).
Nei casi più gravi il quadro clinico può essere ulteriormente caratterizzato da dispnea (difficoltà respiratoria), che insorge a causa della riduzione della escursione del diaframma (il muscolo deputato alla respirazione) per via dell’ingombro da parte dei liquidi o delle ovaie ingrandite all’interno della cavità addominale. Più raramente la dispnea è grave e in genere sostenuta da edema polmonare, atelettasia, embolia o da un quadro più grave di insufficienza respiratoria (sindrome da Distress Respiratorio).
La condizione di ipovolemia può causare anche l’ipercoagulabilità ematica, che può in ultimo essere la causa di trombosi venosa (soprattutto a livello degli arti inferiori che secondariamente può essere causa di embolia polmonare) o arteriosa.
Raramente si può infine sviluppare un danno del fegato, che si manifesta con la riduzione della funzione (insufficienza epatica).
Classificazione
Questa condizione medica può essere classificata a seconda del tipo e della gravità dei sintomi elencati in tre categorie di severità (lieve, moderata e severa), come illustrato nella figura sottostante.

Photo Credit: Dr.ssa Mariangela Caporusso
Prognosi
La prognosi è ottima nelle forme lievi, con regressione spontanea della patologia nel giro di 10-15 giorni; le forme severe hanno una prognosi peggiore, soprattutto in assenza di un adeguato trattamento specialistico. Solo raramente è necessario ricorrere all’intervento chirurgico, nei casi in cui vi sia una torsione dell’ovaio o in presenza di voluminosi cisti ovariche.
Cura
Il trattamento è diverso a seconda del tipo e della gravità dei sintomi.
Trattamento della forma lieve
Nella forma lieve in genere non è indicato alcun tipo di trattamento, se non di tipo sintomatico (ad esempio analgesici per la terapia del dolore); è sufficiente che le pazienti vengano monitorate in regime ambulatoriale per un periodo di circa 2 settimane o fino alla comparsa del ciclo mestruale per registrare la regressione o progressione dei sintomi e la riduzione o aumento della dimensione dell’addome.
Trattamento della forma moderata
La gestione della forma moderata richiede il controllo ecografico periodico per valutare il volume delle ovaie, l’esecuzione di prelievi di sangue periodici per valutare l’equilibrio elettrolitico e il monitoraggio del bilancio idrico (differenza tra liquidi assunti dalla paziente e i liquidi eliminati attraverso le urine) al fine di stimare il rischio di disidratazione ed ipovolemia. Per una corretta gestione del quadro clinico, sarebbe più utile monitorare la paziente in regime di ricovero.
Il trattamento delle forme moderate richiede innanzitutto il riposo assoluto a letto ed è necessario fornire un apporto adeguato di liquidi per ripristinare il volume di liquidi accumulato al di fuori dei vasi. L’adeguato apporto idrico più frequentemente può essere garantito somministrando liquidi per via orale, più raramente per via endovenosa. In caso di alterazioni elettrolitiche agli esami ematochimici sarà necessario somministrare farmaci o soluzioni elettrolitiche per correggere le alterazioni. La condizione medica si può considerare risolta quando la sintomatologia comincia ad affievolirsi e quando il volume delle ovaie misurato ecograficamente comincia a ridursi. La persistenza o il peggioramento dei sintomi, l’ulteriore aumento volumetrico dell’addome o la persistenza di un bilancio idrico negativo sono i segni di una mancata regressione e di una possibile evoluzione verso la forma più severa.
Terapia della forma severa
La gestione della forma severa richiede il ricovero presso centri specializzati per il trattamento della sindrome da iperstimolazione ovarica. Come nel caso precedente il ripristino dei liquidi persi nel terzo spazio è prioritario, ma in queste condizioni è necessario l’apporto idrico per via endovenosa con soluzione fisiologica e in caso di mancata efficacia della stessa con albumina, al fine di garantire un miglioramento della perfusione renale e ripristinarne la funzione. È necessaria anche la correzione degli elettroliti con opportune soluzioni da somministrare per via endovenosa. Allo scopo di fluidificare il sangue e ridurre il rischio trombotico è utile la somministrazione di eparina mediante iniezioni sottocutanee. Le forme più severe con coinvolgimento polmonare e con versamento pleurico e pericardico richiedono il ricovero in terapia intensiva per garantire la corretta assistenza respiratoria.
Prevenzione
La sindrome da iperstimolazione può essere prevenuta utilizzando protocolli specifici nelle donne a rischio (per esempio le donne con sindrome dell’ovaio policistico), con l’obiettivo di non superare determinati livelli di FSH, in modo da consentire un’adeguata maturazione follicolare e selezionare uno o pochi follicoli dominanti invece che multipli follicoli immaturi.
Le strategie possibili sono diverse e comprendono:
- Modifiche dello schema ormonale
- Misurare periodicamente i livelli di estradiolo e il numero di follicoli che si sviluppano; nelle donne che raggiungono rapidamente valori di estradiolo superiori a 300 pg/ml e un numero di follicoli superiore a 20, si può sospendere la somministrazione di hCG e continuare la somministrazione di GnRH, con l’obiettivo di consentire la maturazione completa del follicolo dominante a discapito dei follicoli minori.
- Ridurre la dose di hCG; è stato dimostrato come dosaggi più bassi, tra 5.000-10.000 U riducano sensibilmente il rischio di sindrome da iperstimolazione ovarica, senza compromettere l’esito della procedura.
- Alcuni studi hanno valutato la possibilità di aggiungere antagonisti del GnRH allo schema usuale, al raggiungimento di dimensioni follicolari tra 12 e 14 mm, dimostrando benefici in termini di riduzione di incidenza di sindrome da iperstimolazione ovarica.
- Nelle donne che devono essere sottoposte alla inseminazione in vitro è possibile usare piccole dosi di hCG per stimolare l’ovulazione e successivamente criopreservare l’embrione per evitare la sindrome da iperstimolazione ovarica tardiva.
- Somministrazione di farmaci
- Somministrare l’albumina umana può prevenire la sindrome trattenendo i liquidi all’interno dei vasi ed evitandone il passaggio nel terzo spazio.
- Nelle donne a rischio la somministrazione di basse dosi di aspirina (a dosaggio antiaggregante e non antinfiammatorio, tipicamente attorno ai 100 mg) si è dimostrato efficace nel ridurre il rischio di comparsa della sindrome.
- In alcuni studi è emerso che la metformina (farmaco di prima linea per il trattamento del diabete di tipo 2 e utilizzato anche per il miglioramento della sensibilità all’insulina) è utile nelle donne con PCOS per aumentare la probabilità di ovulazione, ma non ha purtroppo dimostrato alcun beneficio in termini di riduzione dell’incidenza della sindrome da iperstimolazione.
- Anche l’uso della cabergolina (un dopamino-agonista usualmente somministrato per il trattamento della iperprolattinemia) non si è dimostrato efficace nel ridurre l’incidenza di sindrome da iperstimolazione ovarica, nonostante la sua funzione sulla riduzione della permeabilità vascolare.
Punti chiave
La sindrome da iperstimolazione ovarica è una complicanza rara che si verifica nelle donne sottoposte alla Procreazione Medica Assistita.
È caratterizzata da una eccessiva risposta ormonale secondaria alla somministrazione di hCG in alcune donne particolarmente predisposte.
Può presentarsi immediatamente dopo la somministrazione di hCG esogeno (forma precoce) o successivamente alla produzione endogena placentare di hCG (forma tardiva).
La sindrome è più frequente nelle donne giovani, affette da PCOS, che abbiano già manifestato la sindrome in passato, con elevati livelli di estrogeni ed elevato numero di follicoli ovarici.
La sintomatologia è molto variabile; i sintomi più frequenti sono la distensione addominale, il dolore addominale e l’aumento volumetrico dell’addome. Più raramente compaiono sintomi gravi come l’ipotensione, l’insufficienza renale, l’insufficienza respiratoria, l’insufficienza epatica.
La sindrome può essere classificata a seconda del tipo e della gravità dei sintomi in Lieve, Moderata, Severa. Il quadro più frequente è quello lieve.
La terapia è variabile a seconda della gravità del quadro clinico e auspicabilmente deve essere gestita da uno specialista.
La prognosi è buona nelle forme lievi, che tendono ad autorisolversi in 10-14 giorni. Le forme gravi sono rischiose per la salute ed è necessario l’intervento di un’equipe medica specializzata.
Fonti e bibliografia
- Kumar P, Sait SF, Sharma A, Kumar M. Ovarian hyperstimulation syndrome. J Hum Reprod Sci. 2011;4(2):70-75. doi:10.4103/0974-1208.86080
L'articolo Sindrome da iperstimolazione ovarica: sintomi, rischi e cura proviene da Healthy The Wom.