Cos’è una colazione ipoglicemica?
In questo articolo parleremo di “colazione ipoglicemica”, un termine che a volte viene associato a regimi alimentari particolari o pensati per chi ha problemi di glicemia (ad esempio le persone con diabete di tipo 2), quando in realtà una colazione sana è quasi sempre, per sua stessa natura, a basso impatto glicemico: aiuta cioè a mantenere i livelli di zucchero nel sangue relativamente stabili, senza produrre picchi eccessivi.
La prima colazione viene spesso definita “il pasto più importante della giornata” e, sebbene io non sia completamente d’accordo e certamente non è in ogni caso l’unico fattore che determina il nostro stato di salute, può rappresentare un momento strategico per fornire all’organismo una fonte di energia di qualità.
Premesso che un soggetto metabolicamente sano è improbabile che vada incontro a questi sopravvalutati picchi, anche chi non soffre di patologie metaboliche può trarre vantaggio da una colazione a basso impatto glicemico per almeno due ragioni:
- favorisce il senso di sazietà a breve e medio termine, contribuendo a gestire meglio l’appetito anche nei pasti successivi (vedi paragrafo successivo);
- perché si inserisce in uno stile alimentare complessivo più equilibrato, aiutando a mantenere un buon profilo metabolico e riducendo il rischio di incorrere in abitudini alimentari non ottimali.
“La colazione ipoglicemica” non è quindi una moda o un regime alimentare estremo, ma è essenzialmente e semplicemente una colazione equilibrata, conforme alle linee guida scientifiche generali.
Detto questo ci sono tre aspetti interessanti da menzionare, la cui importanza nella popolazione generale è probabilmente trascurabile, ma che diventano più rilevanti per il soggetto diabetico.
La sensibilità insulinica al mattino è alta
Una delle ragioni che potrebbero consentirci di razionalizzare il detto popolare “Colazione da re, pranzo principi e cena da poveri” è che in una persona senza problemi di insulino-resistenza (cioè in cui l’insulina funziona correttamente), al mattino, dopo il digiuno notturno, i recettori delle cellule tendono ad essere più sensibili all’insulina.
Questo rende il corpo generalmente più efficiente, più bravo a “gestire” gli zuccheri introdotti con la colazione.
Questo si scontra tuttavia con una seconda osservazione (vedi paragrafo successivo).
L’effetto alba
Chi convive con il diabete di tipo 2 o chi monitora spesso la glicemia ha probabilmente sentito parlare dell’effetto alba. Durante le prime ore del mattino, il corpo rilascia alcuni ormoni (tra cui cortisolo, ormone della crescita e catecolamine) che preparano l’organismo a iniziare la giornata. Questi ormoni possono innalzare la glicemia anche prima della colazione, per un meccanismo evolutivo di “risveglio energetico”.
Nel soggetto sano, l’aumentata sensibilità insulinica (paragrafo precedente) compensa parzialmente la produzione di glucosio endogeno, mantenendo la glicemia in un range fisiologico. Invece, in chi soffre di diabete, l’azione dell’insulina può non essere sufficiente a contrastare efficacemente questo rilascio ormonale, provocando un aumento ulteriore dei livelli di zucchero nel sangue appena svegli.
Effetto secondo pasto
L’“effetto secondo pasto”, conosciuto anche con il termine inglese second-meal effect, è un fenomeno per cui le scelte alimentari fatte in un pasto (ad esempio la colazione) influenzano in modo favorevole la risposta glicemica del pasto successivo (ad esempio il pranzo), riducendo la tendenza ai picchi di zucchero nel sangue.
È quindi evidente che, per chi desidera controllare più efficacemente le oscillazioni della glicemia, si tratta di una grande occasione; attraverso il consumo di carboidrati complessi, ricchi di fibre, associati a proteine e grassi di qualità, è possibile non solo contenere l’innalzamento glicemico immediato, ma anche migliorare la risposta metabolica ai pasti successivi.
L’indice glicemico è inutile!
Quando si parla di glicemia e nutrizione l’indice glicemico sembra essere l’unico criterio a cui fare riferimento, ma sarebbe un errore, perché la risposta glicemica dipende da numerosi fattori, tra cui spiccano la quantità totale di carboidrati (che insieme all’indice glicemico consentono di valutare il ben più utile carico glicemico) e l’associazione tra diversi macronutrienti (contemporanea presenza di proteine, fibre e grassi).
Semplificando, dobbiamo preoccuparci dell’impatto complessivo dell’intera colazione, non certamente di un parametro di laboratorio per di più limitato a un singolo ingrediente.
Questo approccio che, lo ripeto ancora, è intrinseco in un’alimentazione sana come da linee guida per la popolazione generale, è ciò che rende davvero una colazione (e una dieta) a basso impatto glicemico: non un singolo alimento o un semplice parametro, ma l’insieme delle scelte nutrizionali che si combinano nel pasto.
I 4 pilastri di una colazione ipoglicemica

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Carboidrati minimamente lavorati
Si tratta principalmente di cereali integrali e frutta. Nel primo caso parliamo di carboidrati complessi, mentre nel secondo di zuccheri semplici: entrambi, tuttavia, risultano eccellenti a livello nutrizionale, in quanto ricchi di fibre, vitamine e minerali, e con un impatto glicemico generalmente più basso rispetto ai prodotti raffinati. Esempi classici sono il porridge d’avena (o di altri cereali), il pane integrale – di segale se si desidera la tipologia a indice glicemico più contenuto – e ovviamente la frutta di stagione.
Proteine di qualità
Sono in grado di rallentare l’assorbimento dei carboidrati e aumentare la sensazione di sazietà. In un contesto di colazione, tra le fonti proteiche più indicate troviamo le uova, lo yogurt (normale o greco) non zuccherato, il tofu, l’hummus, il salmone e così via. Questi alimenti, essendo composti da proteine e altri micronutrienti, contribuiscono a bilanciare il pasto e a fornire un apporto nutrizionale completo.
Grassi salutari
Hanno il vantaggio di rallentare lo svuotamento gastrico, evitando picchi glicemici troppo elevati e prolungando il senso di sazietà nelle ore successive. Rientrano in questa categoria la frutta secca a guscio e le creme da essa ricavate (ad esempio, il burro d’arachidi), l’olio extravergine d’oliva e l’avocado. È interessante notare che alcuni alimenti possono rientrare anche nella categoria delle proteine di qualità, come il salmone o l’hummus, dimostrando che noi mangiamo cibi veri e propri, non singoli macronutrienti.
Fibre
Rallentano e riducono l’assorbimento degli zuccheri e, grazie alla fermentazione intestinale con il conseguente rilascio di acidi grassi a corta catena, possono contribuire a un effetto “secondo pasto” positivo sull’equilibrio glicemico.
Le fibre sono un ottimo indicatore di alimenti sani, poiché presenti soprattutto nei prodotti minimamente lavorati e ricchi di nutrienti; si trovano in misura ridotta o assente negli alimenti di origine animale – e, quando presenti (come nel caso dei crostacei), vengono di solito scartate. Per questo motivo, scegliere cibi ricchi di fibre aiuta a mantenere un più basso impatto glicemico e ad arricchire la dieta sotto il profilo nutrizionale.
Cosa limitare in una dieta ipoglicemica?
Ciò che dobbiamo limitare si riduce essenzialmente a due considerazioni:
- Limitare gli zuccheri semplici, contenuti ad esempio in succhi di frutta, marmellate ad alto contenuto di zucchero, brioches, biscotti industriali, creme spalmabili dolci. Come detto prima la frutta intera è esente da questo vincolo, ma allo stesso tempo e soprattutto per la popolazione generale sana non c’è nulla di male a inserire un tocco di dolce nella prima colazione, a maggior ragione se pensiamo al fatto che proprio al mattino la nostra sensibilità insulinica è al massimo. Un poco di miele, marmellate su pane integrale ed eventualmente anche un cucchiaino o due di zucchero possono tranquillamente essere gestiti senza timore.
- Limitare le calorie: Questo e forse la considerazione più importante in assoluto, perché anche un alimento a basso indice glicemico, se consumato in eccesso, può portare a un carico glicemico elevato. Anche un alimento privo di carboidrati, se consumo in eccesso al proprio fabbisogno complessivo, porta a sovrappeso, il principale fattore di rischio per insulino-resistenza, poi iperglicemia, poi diabete.
La regola più importante di tutte
L’equilibrio complessivo della dieta è la vera chiave, perché un soggetto non dovrebbe mai focalizzarsi su un singolo pasto o su un singolo nutriente, ma piuttosto distribuire correttamente calorie e macronutrienti nell’arco dell’intera giornata (e a maggior ragione della settimana).
In questo modo ogni scelta alimentare si inserisce in un contesto più ampio di benessere, dove varietà e moderazione permettono di ottenere un profilo nutrizionale completo e sostenibile. Nessun alimento va “demonizzato” o esaltato eccessivamente: è l’insieme bilanciato delle nostre abitudini a fare la differenza per la salute a lungo termine.
Questa è peraltro la ragione per cui non mi hai sentito parlare di quantità e porzioni… che dipendono non solo dal fabbisogno personale di ciascuno di noi, ma anche da come distribuisci e costruisci il resto dei pasti.
Come prima non dobbiamo focalizzarci eccessivamente sul singolo ingrediente, così ora dobbiamo imparare a puntare a una dieta e anzi a uno stile di vita complessivamente sano, in cui la colazione può sicuramente essere un tassello importante, ma che deve necessariamente incastrarsi bene con il resto dei pasti, sia per quantità di calorie che di suddivisione tra carboidrati, proteine e grassi.
Costruire in modo bilanciato ogni pasto è utile per la glicemia e per il senso di sazietà, ma non è necessariamente un dogma; un po’ come succede per le proteine vegetali, che non richiedono di essere per forza sempre combinate in ogni pasto per risultare complete.
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