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Displasia fibromuscolare: cause, sintomi, pericoli e cura

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Introduzione

La displasia fibromuscolare, è una patologia che colpisce i vasi arteriosi di calibro medio, più e nello specifico, la loro parete, inducendo progressivamente e nella maggior parte dei casi una pericolosa stenosi (restringimento) di vario grado.

La prevalenza della displasia fibromuscolare nella popolazione generale è piuttosto bassa e tanto le sue cause quanto i meccanismi responsabili del danno ai vasi sono ancora oggetto di ricerca e poco chiari, ma la caratteristica peculiare è che il danno alla parete vascolare non dipende né da un processo infiammatorio né da depositi di colesterolo sulla parete, processo patologico ben più frequente nella popolazione e che prende il nome di aterosclerosi.

La storia naturale della patologia di solito prevede una stabilità delle lesioni nel tempo, ma con notevoli possibilità di progressione della displasia (e quindi dei danni vascolari) nel corso del tempo, con comparsa di nuovi sintomi anche a distanza di molti anni dall’esordio (nel 30% dei casi).

Il quadro clinico varia a seconda del distretto interessato dalla patologia, ma tra i sintomi più comuni si annoverano:

Non bisogna dimenticare come, nel corso degli anni, chi soffre di displasia fibromuscolare possa sviluppare in modo indipendente anche la patologia aterosclerotica; il sovrapporsi delle due entità sarà ovviamente più grave nei soggetti che già da tempo soffrono di displasia fibromuscolare.

Per la diagnosi ci si avvale come sempre di anamnesi, esame obiettivo ed esami del sangue di routine, ma di fondamentale importanza risultano gli esami strumentali quali l’ecografia color – doppler, la TC o la RIsonanza Magnetica. L’angiografia rappresenterebbe il gold standard per la diagnosi, ma essendo un esame invasivo viene riservato solo ai casi particolari.

Il trattamento prevede una terapia farmacologica per il controllo dei sintomi (ad esempio antipertensivi per limitare l’aumento di pressione) e per la prevenzione di complicanze gravi (con farmaci antiaggreganti).

In pazienti selezionati è possibile dover ricorrere ad un trattamento interventistico, mediante procedure endovascolari, o ad interventi chirurgici veri e propri.

Cause

Dal punto di vista anatomo-patologico la displasia fibromuscolare può provocare lesioni a carico delle pareti dei vasi arteriosi di medio calibro, ad esempio in forma di:

  • Stenosi (ovvero restringimenti del lume vascolare)
  • Dilatazioni (ovvero aneurismi)
  • Dissezioni (una separazione degli strati della parete arteriosa)
  • Tortuosità

La displasia fibromuscolare tende a danneggiare alcuni vasi più frequentemente di altri, nonostante possano essere colpite praticamente tutte le arterie di medio calibro del nostro organismo.

Le principali localizzazione della displasia si ritrovano a livello di:

  • Arterie renali (nel 70% dei casi in modo unilaterale)
  • Arterie cerebrali
  • Arterie del collo (ovvero le carotidi)
  • Arterie degli arti superiori
  • Arterie degli arti inferiori
  • Arterie splancniche (meno frequentemente)
  • Coronarie, ovvero le arterie che irrorano il cuore (meno frequentemente)

Una stenosi o una dissezione (con conseguente emorragia) di un’arteria conduce ovviamente alla significativa riduzione dell’afflusso di sangue all’organo irrorato che andrà quindi incontro ad una progressiva sofferenza ischemica.

La riduzione e la cessazione della funzionalità degli organi colpiti si manifestano sotto forma di sintomi, responsabili in ultima analisi di quadri clinici piuttosto tipici.

Classificazione

I vasi sanguigni sono formati da tre strati sovrapposti (dall’interno verso l’esterno):

  • tonaca intima
  • tonaca media
  • tonaca avventizia.

La classificazione di Stanley delle varianti della displasia fibromuscolare è basata sul tipo di tonaca vascolare maggiormente interessata dal danno vascolare:

  • Displasia fibromuscolare mediale (la più frequente con l’80% circa dei casi)
  • Displasia fibromuscolare intimale
  • Displasia fibromuscolare avventiziale.

La forma mediale prevede una progressiva distruzione delle cellule muscolari lisce che progressivamente vengono sostituite da tessuto fibroso anelastico. Dal punto di vista angiografico si delinea un quadro denominato “a corona di rosario” per l’alternanza di zone di stenosi a zone di dilatazione (anche dette microaneurismi).

Fattori di rischio

Si osserva ad oggi una prevalenza nei soggetti giovani con un età compresa tra i 20 e i 50 anni e nei soggetti di sesso femminile.

I fattori di rischio sinora correlati allo sviluppo della displasia fibromuscolare comprendono:

Sintomi

Chi soffre di displasia fibromuscolare può talvolta presentare un quadro clinico asintomatico (privo cioè di disturbi) anche per molti anni, con riscontro della patologiasolo in maniera occasionale e incidentale, attraverso una diagnosi diagnosi che viene sospettata durante l’esecuzione di esami strumentali richiesti per lo studio di altre problematiche di salute.

La malattia porta allo sviluppo di un quadro clinico i cui sintomi sono per lo più correlati alla localizzazione dei vasi colpiti e al distretto interessato dalla patologia, oltre che dalla gravità delle stesse lesioni. Una stenosi significativa o una dissezione con emorragia portano intuitivamente alla comparsa di sintomi particolarmente gravi e complicanze spesso fatali (si pensi alla stenosi o alla dissezione di una carotide o di un vaso cerebrale).

Uno dei sintomi che più frequentemente si riscontra in chi soffre di questa patologia è l’ipertensione, ovvero un aumento dei valori di pressione arteriosa in seguito ad una stenosi delle arterie renali. Tipicamente si parla di ipertensione giovanile (il 10% dei casi rispetto a tutte le altre cause di ipertensione) poiché colpisce precocemente i soggetti giovani. Si differenzia dalla più frequente ipertensione essenziale, che colpisce invece gli adulti e gli anziani con una maggiore incidenza a partire dai 40 – 50 anni.

Oltre all’ipertensione un danno a livello delle arterie renali può portare a sintomi quali:

  • Alterata funzionalità renale, riscontrabile alle analisi del sangue mediante:
    • Aumento della creatinina
    • Riduzione della velocità di filtrazione (eGFR)
    • Alterazione degli elettroliti sierici (sodio, potassio, calcio, …)
    • Riduzione delle dimensioni di uno o di entrambi i reni che vanno incontro ad atrofia (di pari passo con la riduzione della loro funzionalità)
    • Dolore alla zona lombare (proiezione anatomica dei reni) in seguito ad un processo ischemico o emorragico acuto dei reni

Una stenosi o una lesione a carico delle arterie di calibro medio cervicali riduce l’afflusso sanguigno a livello cerebrale con comparsa di sintomi quali:

  • Emicrania (mal di testa avvertito di solito solo a metà del capo, ma che in seguito può diffondersi anche all’altro lato)
  • Tinniti o acufeni pulsanti a livello delle orecchie (che tipicamente sono sincronizzati con il battito cardiaco)
  • Sensazione di rumori fastidiosi come fruscii a livello delle orecchie
  • Presenza di soffio vascolare all’auscultazione
  • Vertigini
  • Lipotimie (sensazione imminente di svenire)
  • Sincope con perdita di coscienza
  • Dolore cervicale acuto e violento (tipico della dissezione vascolare)

Se la displasia fibromuscolare si dovesse localizzare invece direttamente a livello delle arterie cerebrali, i sintomi sarebbero più gravi e di tipo neurologico con presenza di:

  • Cefalea (mal di testa) poco responsivo ai comuni analgesici
  • Nausea e vomito
  • Malessere generale
  • Sensazione di pulsazione alla testa
  • Sincope con caduta al suolo improvvisa
  • Disturbi di alcune funzioni cerebrali (linguaggio, apparato locomotore, equilibrio, …) in seguito ad attacchi ischemici transitori (TIA), emorragie cerebrali o ictus
  • Sindrome di Horner (caratterizzate da ptosi palpebrale, miosi, enoftalmo e riduzione della sudorazione)
  • Exitus

Meno frequenti sono le localizzazioni splancniche della displasia fibromuscolare, ovvero in riferimento ai visceri contenuti entro la cavità addominale. In tali casi possono svilupparsi sintomi a carico dell’apparato gastrointestinale che di solito prevedono la comparsa di dolore addominale dopo i pasti per la difficoltà a far affluire la necessaria quantità di sangue all’intestino durante la digestione (angina abdominis).

Se la displasia fibromuscolare colpisce invece le arterie di medio calibro degli arti superiori o inferiori compaiono segni e sintomi clinici come il dolore agli arti dopo un esercizio fisico o dopo una semplice camminata. Questo quadro è conosciuto con il nome di “claudicatio intermittens”, a sottolineare la presenza del dolore a fasi intermittenti che scompare a riposo e compare non appena viene richiesto, alla muscolatura degli arti, un maggior afflusso di sangue.

In caso di stenosi emodinamicamente significativa a carico degli arti superiori o inferiori compare anche una differenza di pressione sanguigna tra gli arti dei due lati del corpo, che rappresenta spesso un dato obiettivo che conferma il sospetto diagnostico.

Infine, anche se raramente, è possibile la localizzazione di displasia fibromuscolare alle coronarie, ovvero le arterie responsabili dell’irrorazione sanguigna del cuore. Si sviluppa nei casi più significativi un quadro clinico con sintomi tipicamente cardiaci con dolore toracico, alterazioni della frequenza cardiaca e tutti gli altri sintomi suggestivi di una crisi coronarica acuta e di infarto cardiaco.

Diagnosi

Il percorso diagnostico comincia come sempre da un’attenta anamnesi ed uno scrupoloso esame obiettivo generale:

  • L’anamnesi consiste in una sorta di intervista medico-paziente con l’obiettivo di ricostruirne la storia clinica recente e passata. Nel caso della displasia fibromuscolare sarà necessario indagare riguardo a:
    • Presenza di patologie sottostanti, soprattutto se di pertinenza vascolare o renale
    • Presenza di ipertensione, soprattutto se in soggetti giovani e nei parenti di I grado
    • Presenza di malattie del tessuto connettivo anche nei parenti prossimi
    • Assunzione di determinati farmaci
    • Quadro accertato di aterosclerosi dei vasi
    • Presenza di altri fattori di rischio come il fumo
  • L’esame obiettivo da parte del medico è fondamentale anche in assenza di sintomi suggestivi della presenza di displasia fibromuscolare. Oltre ad un esame obiettivo generale, sarà dirimente l’auscultazione mediante stetofonendoscopio, dove sarà possibile apprezzare alcuni suoni patologici chiamati soffi vascolari, che sono il risultato di un alterato flusso di sangue a livello delle arterie patologiche.
    • La misurazione della pressione sanguigna è un atto diagnostico fondamentale in ogni visita medica, poiché può rappresenta la manifestazione aspecifica di svariate patologie. Nel caso della displasia fibromuscolare è possibile obiettivare:
      • Aumento della pressione arteriosa sanguigna oltre i 140/100 mmHg (pressione sistolica e diastolica) in caso di lesioni a carico delle arterie renali. Questo tipo di ipertensione viene chiamata nefrovascolare ed è più grave rispetto ad una ipertensione essenziale benigna.
      • Differenze nella misurazione della pressione sanguigna misurata tra un arto superiore o inferiore e il suo controlaterale. Questo reperto suggerisce la presenza unilaterale di una qualche stenosi vascolare proprio a carico di un arto.

Dal punto di vista strumentale il gold-standard per la diagnosi è rappresentato dall’esame angiografico, che permette l’identificazione di zone di stenosi, di aneurismi o di dissezione lungo tutti vasi del corpo.

Essendo un esame alquanto invasivo non rappresenta però l’esame di prima scelta per la diagnosi di displasia fibromuscolare e ad essa si preferiscono esami di imaging quali:

  • ecografia color – doppler (esame di primo livello, poco invasivo)
  • Angio – TC
  • Angio – RMN

Sia la TC che la RMN con studio vascolare presentano un’elevata accuratezza diagnostica e vengono eseguite in genere dopo un’ecografia sospetta o negativa, ma accompagnata da un rilevante sospetto clinico (esami di secondo livello).

Nei casi in cui la displasia fibromuscolare si presenti senza alcun sintomo e con quadro clinico silente, la diagnosi risulta più complessa e il sospetto diagnostico viene spesso posto sulla base di esami strumentali di imaging quali la TC o la RMN (Risonanza Magnetica Nucleare) eseguiti per altri motivi.

Cura

La prognosi della displasia fibromuscolare rimane tendenzialmente buona, anche e soprattutto in considerazione dell’alta prevalenza di casi asintomatici o dei pazienti che non subiscano la progressione delle lesioni vascolari. Rimane tuttavia una patologia piuttosto delicata per gli eventuali gravi esiti a cui può portare, che richiede quindi un attento follow – up e uno stretto monitoraggio clinico negli anni.

La displasia fibromuscolare si manifesta con lesioni anatomo-patologiche che non potranno mai regredire nel corso della storia naturale della patologia, pur potendo restare di entità lieve e quindi non portare allo sviluppo di alcun sintomo.

Il trattamento della displasia dipende per cui da una serie di fattori quali:

  • La gravità delle lesioni
  • La loro localizzazione
  • Eventuali sintomi presenti

Le finalità di cura potranno invece essere:

  • Conservative, quindi senza trattamento invasivo, che prevedono un attento controllo dei sintomi mediante terapia farmacologica e uno stretto follow-up per monitorare lo sviluppo delle lesioni vascolari;
  • Interventistiche, che mirano alla risoluzione del quadro patologico che a sua volta potrà essere eseguito con un trattamento:
    • Endovascolare con angioplastica
    • Chirurgico “open” (tradizionale)

Dal punto di vista farmacologico i sintomi principali che vengono controllati sono l’ipertensione e l’emicrania.

Trattandosi di problematiche endovascolari, una delle complicanze più gravi della displasia fibromuscolare è rappresentata dalla trombosi con occlusione parziale o totale del vaso. Per prevenire tale evenienza è indicata a tutti i soggetti con displasia accertata la terapia con antiaggreganti (“Cardioaspirina” nella maggior parte dei casi). Gli antiaggreganti saranno ancora più importanti nel periodo post-operatorio in caso di procedure endovascolari o di intervento chirurgico vero e proprio.

Dal punto di vista operativo l’approccio endovascolare prevede una serie di tecniche moderne meno invasive dell’intervento chirurgico classico “a cielo aperto”. L’angioplastica oltre che meno invasiva, risulta anche meno costosa ed associata ad una minor morbilità per il paziente.

Le principali indicazioni ad un’angioplastica sono le lesioni stenotiche delle arterie renali qualora dovessero provocare:

  • Ipertensione nefrovascolare di recente insorgenza in pazienti giovani
  • Ipertensione resistente alla terapia farmacologica
  • Ipertensione a forte rischio per l’insorgenza di complicanze gravi
  • Danno della funzionalità renale

Raramente l’angioplastica, quando non efficace al 100%, può essere accompagnata dal posizionamento di uno stent nel vaso trattato che ne migliora il risultato terapeutico.

La tecnica chirurgica open è riservata di solito ai casi di aneurismi di grandi dimensioni, ma trova anche spazio nei casi in cui la procedura endovascolare non sia risultata efficace o presenti controindicazioni. Si avvale di tecniche di angioplastica, bypass chirurgici o riparazioni di aneurismi.

Trattandosi di procedure interventistiche non deve essere trascurato il tasso di complicanze che si attesta intorno al 15%, e che prevede:

  • Dissezione dell’arteria con emorragia
  • Ischemia o infarto dell’organo coinvolto
  • Perforazione arteriosa

Fondamentale infine sarà anche il controllo dei fattori di rischio per l’aterosclerosi (come il fumo, il diabete, l’ipertensione o la dislipidemia) che prevengono la progressione delle lesioni vascolari dovute alla displasia fibromuscolare.

Fonti e bibliografia

  • Harrison – Principi Di Medicina Interna Vol. 1-2 (17’Ed. McGraw Hill).
  • MedScape
FMD

Shutterstock/Kozak Dmytro

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