Cos’è l’alcalosi metabolica?
Ogni liquido è caratterizzato da numerose caratteristiche, come la temperatura, il colore, la viscosità, … e fra queste possiamo annoverare anche l’acidità; siamo probabilmente tutti in grado di fare un esempio di liquido acido (succo di limone, aceto, …), ma legandone il concetto più che altro al senso del gusto, ma si tratta di una semplificazione.
L’acidità (e l’alcalinità) di una soluzione sono in realtà descritti quantitativamente dal pH, una scala che assegna un valore compreso tra
- 0, pH fortemente acido,
- 14, pH fortemente alcalino (o basico),
a qualsiasi liquido.

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Anche se non è necessario approfondire da un punto di vista chimico il concetto, è importante sapere che i processi metabolici che avvengono nell’organismo sono strettamente legati al pH; i fluidi corporei hanno generalmente pH compreso tra 5 e 8 (con poche eccezioni, come i succhi gastrici molto più acidi che hanno pH compreso tra 0.7 e 3.8).
Il pH del sangue, in particolare, viene costantemente tenuto sotto controllo da specifici meccanismi che ne garantiscono un valore compreso tra 7,35 e 7,45 (sangue arterioso); valori anche di poco esterni a questo intervallo possono diventare causa di gravissime complicazioni.
Con il termine “alcalosi metabolica”, s’intende un aumento del pH (che supererà quindi il valore di 7.45) dei tessuti dell’organismo e in particolar modo del sangue e delle urine; questa condizione può essere conseguente a:
- perdita di acidi,
- accumulo di bicarbonati.
In presenza di variazioni minime potrebbero non manifestarsi segni/sintomi, in caso di alterazioni più gravi il paziente può manifestare:
- contrazioni muscolari e crampi,
- irritabilità;
- formicolio all’estremità,
- mal di testa,
- letargia,
- convulsioni.
La diagnosi clinica è supportata dall’esecuzione di un’emogasanalisi (un gruppo di test utili a misurare i livelli di ossigeno e anidride carbonica presenti nel sangue arterioso) e dalla valutazione del dosaggio degli elettroliti sierici; solo una volta individuata la causa sottostante è possibile impostare una terapia che, nella maggior parte dei casi, favorirà la remissione del quadro clinico.
Cause
L’alcalosi è classificata in base alla sua causa primaria come
- metabolica,
- respiratoria.
L’alcalosi metabolica si sviluppa tipicamente in caso di:
- Vomito protratto o in pazienti ricoverati e soggetti ad aspirazioni nasogastriche, a causa della perdita di acido gastrico e cloro e conseguente aumento del pH.
- Ingestione di grandi quantitativi di bicarbonato di sodio o abuso di antiacidi (l’aumento del pH è conseguenza dell’eccesso di basi nell’organismo).
- Uso di diuretici, principalmente tiazidi, furosemide o acido etacrinico.
- Incapacità dei reni di mantenere l’equilibrio acido-base: la perdita eccessiva di liquidi ed elettroliti (come sodio o potassio) incide sulla corretta funzionalità renale; per esempio, un’iperattività delle ghiandole surrenali può indurre una massiva perdita di potassio, con conseguente alcalosi metabolica.
Tra le cause meno comuni di alcalosi metabolica ricordiamo:
- Diarrea congenita da cloruri: è una condizione molto rara, in quanto generalmente la diarrea è causa di acidosi più che di alcalosi.
- Disidratazione sistemica: può causare un’alcalosi da contrazione, dovuta a perdita di acqua negli spazi extracellulari; si ha attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone a livello renale, con conseguente escrezione di ioni idrogeno, ritenzione di bicarbonato e aumento del pH del sangue.
- Fibrosi cistica: la perdita eccessiva di cloruro di sodio con il sudore, tipica di questa malattia, causa contrazione dei volumi extracellulari (analogamente a quanto accade nell’alcalosi da contrazione) ed esaurimento del cloruro.
- Consumo eccessivo di glicirrizina, principio attivo dell’estratto di liquirizia.
- Iperaldosteronismo: a causa dell’eccesso di aldosterone (un ormone responsabile dell’equilibrio dell’acqua nell’organismo), si ha una perdita di ioni idrogeno nell’urina e un aumento dell’attività della proteina di scambio sodio-idrogeno del rene. La ritenzione di sodio accresce il volume extracellulare, mentre la perdita di ioni idrogeno causa alcalosi metabolica.
- Sindrome di Liddle: chi ne è affetto presenta una mutazione delle funzioni dei geni che codificano per il canale del sodio epiteliale (ENaC) che causa ipertensione e ipoaldosteronismo, con conseguente alcalosi metabolica.
- Carenza di specifici enzimi (11β- idrossilasi e di 17α-idrossilasi): causa accumulo di precursori mineralcorticoidi con iperkaliemia (aumento del potassio), ipernatriemia (aumento del sodio) e ipertensione.
- Effetti collaterali da aminoglicosidi (una famiglia di antibiotici): può indurre alcalosi metabolica ipocalemica (con ridotti livelli di calcio) attraverso meccanismi che coinvolgono i canali del calcio, situati nel tratto ascendente del nefrone.
- Sindrome di Bartter e sindrome di Gitelman: tubulopatie caratterizzate da un’alcalosi ipokaliemica (con ridotti livelli di potassio).
L’alcalosi metabolica può infine essere classificata, dal punto di vista terapeutico (più specialistico), in:
- Cloruro-responsiva: associata ad una perdita o ad un’eccessiva secrezione di cloro; si corregge generalmente con la somministrazione endovena di liquidi contenenti NaCl (sodio-cloruro).
- Cloruro non-responsiva: non viene corretta dalla somministrazione di soluzioni contenenti NaCl e riconosce alla base gravi deficit di magnesio e\o potassio o un eccesso di mineralcorticoidi (specialmente peraldosteronismo).
- Forme miste: le due forme sopracitate, possono coesistere (come accade nei pazienti in cui siano stati somministrati diuretici ad alte dosi).
Sintomi
In caso di lieve alcalosi metabolica potrebbe non essere presente alcuna sintomatologia, quando presenti i sintomi e i segni dipendono generalmente dalla malattia sottostante; un’alcalosi metabolica può causare:
- tremori, contrazioni muscolari e crampi,
- nausea e vomito,
- irritabilità,
- formicolio alle dita di mani e piedi e intorno alle labbra.
Nei quadri clinici più gravi l’aumento del pH determina una riduzione dei livelli circolanti di calcio (ipocalcemia) con conseguente
- cefalea,
- letargia,
- confusione (può progredire fino allo stupor o al coma)
- aumento dell’eccitabilità neuromuscolare, talvolta con comparsa di
- delirium,
- tetania (comparsa di contrazioni forzate e involontarie dei muscoli),
- e convulsioni.
Diagnosi
La diagnosi è posta attraverso l’esecuzione di alcune indagini, tra cui:
- emogasanalisi,
- valutazione degli elettroliti sierici.
L’emogasanalisi consente di misurare i livelli di ossigeno e anidride carbonica presenti nel sangue arterioso e di valutare il pH del sangue. Il prelievo del sangue da un’arteria (di solito del polso, come l’arteria radiale) è svolto con un ago e può risultare fastidioso.
Il dosaggio degli elettroliti sierici viene eseguito attraverso un prelievo venoso e permette di valutare lo stato di idratazione\disidratazione del paziente nonché, in presenza di alterazioni significative di calcio, magnesio e potassio, l’eventuale rischio di complicanze cardiologiche; questi elettroliti, infatti, svolgono un ruolo importante sulla funzionalità muscolare del cuore, del battito cardiaco e nel mantenimento della pressione arteriosa.
Meno comunemente può essere richiesta la misurazione del cloro urinario e del potassio, al fine di valutare ulteriormente funzionalità renale e bilancio idrico.
Cura
La gestione dell’alcalosi metabolica varia in ragione della causa sottostante e delle condizioni del paziente; la risoluzione della malattia che ne è alla base determina, solitamente, una regressione del disturbo.
Il trattamento prevede una reintroduzione di acqua e di elettroliti (principalmente sodio e potassio).
- I pazienti con alcalosi metabolica cloro-responsiva, sono trattati generalmente con soluzione fisiologica allo 0,9% endovena, fino a che il pH del sangue non si normalizza.
- I pazienti con alcalosi metabolica non cloro-responsiva, di solito non traggono beneficio dalla sola reidratazione.
I pazienti con grave alcalosi metabolica (pH superiore a 7,6) ed insufficienza renale necessitano di misure più rapide per la correzione del pH ematico; in questi casi, l’emofiltrazione o l’emodialisi potrebbero rappresentare una valida opzione.
In tutti i casi, è opportuno tenere sotto sorveglianza il paziente, attraverso un frequente monitoraggio dell’emogasanalisi e degli elettroliti, considerando l’eventuale comparsa di complicanze cardiovascolari e\o di ripercussioni sul sistema nervoso centrale.
Fonti e bibliografia
- MSD
- medicinaurgenza.it
- Guyton Arthur C., Trattato di fisiologia medica, 4ª ed., Padova, Piccin-Nuova Libraria, 1995, ISBN non esistente.
- Goldman L e Claude Bennet J, Cecil, Textbook of medicine, 21ª ed., W. B. Saunders Company, 2000, ISBN non esistente.
- Clin Endocrinol (Oxf). 2019 Oct 2. doi: 10.1111/cen.14104. [Epub ahead of print] The challenges of diagnosis and management of Gitelman syndrome. Urwin S1, Willows J1, Sayer JA1,2,3.
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